Di seguito un breve passaggio:
Il 17 aprile 2015 il pentito Carmelo D'Amico dice: “Angelino Alfano è stato portato da Cosa nostra che lo ha prima votato ad Agrigento, ma anche dopo. Poi Alfano ha voltato le spalle ai boss facendo leggi come il 41 bis e sulla confisca dei beni”. “Cosa nostra ha votato anche Schifani, poi hanno voltato le spalle, e la mafia non ha votato più Forza Italia”. “I boss votavano tutti Forza Italia, perché Berlusconi era una pedina di Dell’Utri, Riina, Provenzano e dei Servizi. Forza Italia è nata perché l’hanno voluta loro”. “All’epoca i politici hanno fatto accordi con Cosa nostra, poi quando hanno visto che tutti i collaboratori di giustizia che sapevano non hanno parlato, si sono messi contro Cosa nostra, facendo leggi speciali, dicendo che volevano distruggere la mafia”. D’Amico racconta inoltre che a Barcellona Pozzo di Gotto era presente una loggia massonica: “Ne facevano parte uomini d’onore, avvocati e politici, e la comandava il senatore Domenico Nania: a questa apparteneva ancheDell’Utri”. (Nino Rotolo) “Mi raccontò che i servizi avevano fatto sparire dal covo di Riina un codice di comunicazione per mettersi in contatto con politici e gli stessi agenti dei servizi”. “Mi disse anche che Provenzano era protetto dal Ros e dai Servizi e non si è mai spostato da Palermo, tranne quando andò ad operarsi di tumore alla prostata in Francia”. “Rotolo ne parlava con Vincenzo Galatolo: all’inizio non lo chiamavano per nome, ma lo definivano cane randagio, poi io chiesi di chi parlavano e mi risposero che si trattava di Di Matteo, e che aspettavano da un momento all’altro la notizia dell’attentato”. “Era stabilito che il dottor Di Matteo doveva morire – ha aggiunto D’Amico – Rotolo mi ha raccontato che i servizi segreti volevano morto prima il dottor Antonio Ingroia, poi Di Matteo. E siccome Provenzano non voleva più le bombe, dovevamo morire con un agguato”. “A volere la morte di Di Matteo erano sia Cosa Nostra che i Servizi perché stava arrivando a svelare i rapporti dei Servizi come fece a suo tempo il dottor Giovanni Falcone”. “Io dovevo uscire da lì a poco dal carcere e si parlava di delegare me per portare avanti questa cosa”. A proposito dei servizi segreti afferma: “Arrivano dappertutto ed è per questo che altri pentiti come Giovanni Brusca e Nino Giuffré non raccontano tutto quello che sanno sui mandanti esterni delle stragi”. “I servizi organizzano anche finti suicidi in carcere: per questo voglio chiarire che io godo di ottima salute e non ho nessuna intenzione di suicidarmi”.[156]
Il 7 maggio 2015 il boss pentito Vito Galatolo dice: "Quando sapemmo che l'artificiere che doveva partecipare all'attentato al pm Di Matteo non era di Cosa Nostra, capimmo che dietro al piano c'erano soggetti estranei alla mafia, apparati dello Stato, come nelle stragi del '92. Matteo Messina Denaro ci rassicurò scrivendoci che comunque avevamo le giuste coperture.", "Cosa Nostra quantificò in 500 mila euro la somma necessaria per mettere in atto l'attentato nei confronti del Pm Di Matteo. La fase operativa era giunta, tra dicembre 2012 e i primi del 2013, ad uno stadio molto avanzato. Biondino aveva comprato il tritolo tramite i calabresi. Io l'ho visto personalmente, in due fusti.", "Di Matteo si stava intromettendo in un processo che non doveva neanche iniziare, quello sui rapporti tra Stato e mafia. E si doveva fermare perchè non doveva scoprire certe situazioni.", "C'era un via-vai di agenti dei Servizi segreti nelle carceri per avere contatti con capimafia al 41 bis. Uno che ci parlava spesso era Nino Cinà.".[157]
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