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martedì 14 gennaio 2014

I rifiuti sono pericolosi?

I rifiuti sono pericolosi?


I rifiuti sono pericolosi



Può sembrare una domanda banale chiedere se i rifiuti sono pericolosi, ma non lo è affatto. Infatti non è facile rispondere a questa domanda, perché bisogna specificare: “pericolosi per chi?”, “quali rifiuti?”, “smaltiti come?”.
Per l’uomo e per l’ambiente sono pericolosi soprattutto i rifiuti industriali, perché molti di questi contengono sostanze chimiche ad azione tossica, cancerogena, teratogena (capace cioè di produrre anomalie nell’embrione e nel feto). Per tale motivo la legge definisce questi “rifiuti pericolosi”, stabilendo che devono essere smaltiti secondo particolari procedure per impedire o minimizzare il rischio di effetti negativi sull’uomo e sull’ambiente (alcuni devono essere distrutti con il calore, altri in siti con particolari requisiti, altri devono essere raffinati e riciclati ecc.). Alcuni rifiuti pericolosi sono presenti anche nelle nostre case: pile, farmaci scaduti, cartucce delle stampanti, vernici, solventi (es. acqua ragia, trielina) ecc. Una singola pila, per esempio, contiene circa un grammo di mercurio, quantità più che sufficiente per inquinare 1.000 litri di acqua. Per tali motivi questi rifiuti devono essere smaltiti con molta attenzione.

rifiuti urbani (la spazzatura) possono essere pericolosi perché contengono sostanze putrescibili (la cosiddetta “frazione umida”, formata da residui di alimenti, carta ecc.), che possono favorire il proliferare di germi patogeni o dei cosiddetti “vettori di malattie”, cioè quegli animali, come scarafaggi, mosche, topi, ratti, ecc. che possono trasportare microbi patogeni, facendoli venire a contatto con l’uomo. Tale rischio, rispetto ad altri (es. la diossina prodotta dall’incendio dei cassonetti), non è così alto come comunemente si crede.

La frazione umida, decomponendosi, può dare anche origine ad un liquame ricco di composti tossici (il percolato) con possibilità di inquinamento del suolo, delle falde acquifere e dei corsi d’acqua. Per tale motivo le discariche di rifiuti devono essere costruite in siti idonei (argillosi o senza falde nelle vicinanze), devono avere uno o due strati di impermeabilizzazione e una rete di drenaggio con impianto di depurazione del percolato. La legge oggi vieta lo smaltimento in discarica della frazione umida.
La frazione secca dei rifiuti (plastiche, metalli, inerti) non è pericolosa per la salute, ma può esserlo per l’ambiente (es. le tartarughe marine possono morire mangiando le buste di plastica scambiate per meduse). Inoltre nei lunghi tempi di degradazione possono essere rilasciate nell’ambiente sostanze tossiche o cancerogene (es. metalli pesanti),con le quali poi l’uomo (oppure altri animali, piante, microrganismi) può venire a contatto.

La combustione dei rifiuti è pericolosa perché nei fumi sono rilasciate molte sostanze nocive, capaci di provocare e/o favorire il cancro, le malattie cardiovascolari (infarto, ictus ecc.), l’aborto, le malformazioni, le malattie genetiche, ecc.. Inoltre i fumi inquinano l’aria con danni agli ecosistemi, anche di tipo globale (effetto serra, piogge acide, buco dell’ozonoecc.).

Insomma i rifiuti non sono solo poco piacevoli a vedersi e causa di cattivi odori, essi, se non smaltiti correttamente, possono causare malattie anche gravi e creare danni seri all’ambiente. Anche per questo bisogna cercare di produrre la minore quantitá possibile di rifiuti.




Quanto tempo occorre perché la natura degradi i rifiuti


Quanto tempo occorre perché la natura degradi i rifiuti

Fazzolettini di carta: 3 mesi
Sigarette con filtro: da 1 a 2 anni
Torsolo di mela: 3 mesi
Fiammiferi: 6 mesi
Giornali e riviste: se sminuzzati circa tre mesi, se accatastati più di 10 anni
Gomme da masticare: 5 anni
Lattine in alluminio per bibite: da 10 a 100 anni
Plastiche in genere: da 100 a 1000 anni
Polistirolo: oltre 1000 anni
Schede telefoniche, carte di credito e simili: oltre 1000 anni
Vetro: oltre 4000 anni


Lo smaltimento dei rifiuti


La parola smaltimento reca in sé l’idea che i rifiuti sono privi di valore e che quindi bisogna solo cercare di disfarsene nella maniera più sicura, più semplice, meno costosa. I principali sistemi di smaltimento sono le discariche e gli inceneritori.

Le discariche

La discarica tecnicamente non è altro che un enorme fosso ottenuto mediante escavazione di un suolo (preferibilmente argilloso e quindi impermeabile) dove si andranno a sversare i rifiuti fino al riempimento della stessa.
L’acqua piovana che passa attraverso i rifiuti trascina con sé sostanze organiche ed inorganiche dei rifiuti; la decomposizione della frazione organica produce anch’essa un liquido ricco di batteri. Tali liquami sono denominati complessivamente percolato. Questo, se la discarica non è costruita e gestita come si deve, può inquinare i corsi d’acqua o le falde acquifere. Le nuove discariche sono realizzate predisponendo uno strato (o anche due) impermeabile sul fondo ed un sistema di drenaggio del percolato, che viene raccolto ed inviato ad impianti per la depurazione.
Le discariche producono anche del biogas (prevalentemente formato da metano, anidride carbonica ecc.), che dovrebbe essere captato sia in fase di riempimento della discarica, sia dopo la sua dismissione. Questo biogas può essere utilizzato per produrre energia elettrica tramite la sua combustione.

Le discariche, quindi, sono dei veri e propri impianti per la degradazione e il confinamento definitivo dei rifiuti.
Tutt’altra cosa sono le discariche abusive, abbondanti nel nostro Paese e particolarmente in Campania. Queste non sono dotate di nessun sistema di impermeabilizzazione, captazione del percolato e del biogas e spesso sono situate in posti assolutamente non idonei a ospitare una discarica, per di più la maggioranza delle volte raccolgono anche rifiuti pericolosi, che dovrebbero essere smaltiti in tutt’altro modo.

Gli inceneritori

Gli inceneritori oggi vengono definiti “termovalorizzatori” perché i nuovi impianti sono progettati con l’obiettivo di produrre energia elettrica utilizzando il calore derivante dalla combustione dei rifiuti.
L’inceneritore comunica un’illusione: i rifiuti vi entrano e, come d’incanto, scompaiono. Purtroppo non è così: ne cambia solamente la composizione chimica e, al limite, lo stato fisico (gas, liquido, solido), perché in natura “nulla si crea e nulla si distrugge: tutto si trasforma”.
I rendimenti energetici e le emissioni dipendono dalla tipologia dell’impianto (forni a tamburo rotante, a griglia, a letto fluido, ecc.), dai rifiuti che vi si bruciano e dalla gestione dell’impianto. Le plastiche, la carta, il legno sono le sostanze che bruciano meglio, mentre la frazione umida brucia con difficoltà, quella inerte (sabbia, pietre, porcellana ecc.) non brucia e i metalli, fondendo, possono creare problemi all’impianto. Per tale motivo all’inceneritore deve andare solo il cosiddetto combustibile da rifiuto (cdr) che viene prodotto in impianti (detti impianti di deselezione o di produzione di cdr) che allontanano dai rifiuti le componenti non idonee all’incenerimento (residui alimentari, materiali inerti, metalli ecc.). Per avere una maggiore efficienza dell’impianto di deselezione si deve raccogliere in maniera differenziata il secco dall’umido e inviare all’impianto solo la frazione secca dei rifiuti.

Poiché le sostanze che bruciano meglio sono la plastica, la carta e il legno, che sono anche prodotti che possono essere convenientemente riciclati, si comprende come gli inceneritori finiscano per fare concorrenza al riciclaggio, più conveniente. anche dal punto di vista del recupero energetico. Infatti producendo la plastica dai prodotti plastici raccolti nelle campane, anziché dal petrolio, si risparmiano circa 10.000 calorie per ogni Kg di plastica prodotta, mentre bruciando 1 Kg di plastica in un inceneritore si produce meno della metà di energia.

Gli inceneritori producono vari tipi di rifiuti: fumo, ceneri, fanghi.

Il fumo di un inceneritore è formato da numerosissime sostanze (dipendendo dalla grande varietà di materiali che sono presenti nei rifiuti): le principali sono gli ossidi di carbonio (CO2 e CO), gli ossidi di azoto (NOx), gli ossidi di zolfo, i composti organici volatili (detti C.O.V., come il benzopirene, il benzene, idrocarburi ecc.), particelle (il particolato o polveri, che sono distinte in PM10 se di diametro inferiore a 10 micron, PM2,5 se di diametro inferiore a 2,5 micron), ossidi di metalli, ossidi di calcio e magnesio, metalli pesanti, diossine, furani, ecc.. Molte di queste sostanze sono pericolose per la salute poiché causano infiammazioni (ossidi di azoto e di zolfo ecc.), cancri (C.O.V., diossine, metalli pesanti ecc.), malformazioni (C.O.V., diossine ecc.), intossicazioni (CO, diossine, metalli ecc.). Le medesime sostanze hanno anche effetti negativi sugli ecosistemi, per esempio la CO2 è uno dei principali gas responsabile dell’effetto serra (bruciare una tonnellata di rifiuti produce 3 tonnellate di CO2), gli ossidi di azoto e di zolfo sono responsabili delle piogge acide ecc.
Le ceneri e i fanghi (questi ultimi originano soprattutto dai meccanismi di depurazione dei fumi) contengono anch’essi sostanze pericolose, per cui devono essere smaltiti in discariche di tipo speciale, oppure essere ulteriormente trattati per renderli meno pericolosi ed eventualmente utilizzabili (ovviamenteciò richiede consumo di energia). Bruciando una tonnellata di rifiuti si producono circa 300 Kg di cenerifanghi e altre scorie.



Le diossine

Il termine “diossina” indica una famiglia di composti chimici solubili nei grassi (nei quali quindi tendono ad accumularsi), cancerogeni e tossici anche a dosi infinitesimali, per cui la dose massima ammessa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è di 1,4 picogrammi per chilo di peso corporeo (1 picogrammo è 1 miliardesimo di milligrammo).
Simili alle diossine sono i furani.
Diossine e furani si formano durante i processi di combustione (tra 180° e 400° C). Queste temperature si raggiungono quando si bruciano i cassonetti o i cumuli di rifiuti. La temperatura degli inceneritori viene mantenuta sugli 800-900° C per minimizzare le quantità di diossina e furani prodotte. Ma non in tutte le zone dell’inceneritore la temperatura è così elevata, inoltre la presenza di rifiuti poco “bruciabili” o la cattiva gestione dell’impianto può far abbassare la temperatura, aumentando cosí la produzione di questi composti. Il territorio della provincia di Napoli e di Caserta è abbastanza inquinato da diossine, in gran parte provenienti dalla combustione dei cumuli di spazzatura e di rifiuti industriali smaltiti illegalmente dalla camorra.
La normativa europea prescrive che in ogni metro cubo di fumi emesso da un termovalorizzatore non ci possano essere più di 100 picogrammi di diossine. Fissare limiti alla concentrazione di diossina per metro cubo d’aria non ha gran senso. L’importante infatti non è la concentrazione per metro cubo di fumi ma la quantità totale che viene emessa (al giorno o per tonnellata di rifiuti bruciata) e soprattutto la quantità che si deposita a terra. La diossina, infatti, arriva all’uomo tramite gli alimenti. Come abbiamo detto essa si accumula nelle sostanze grasse: così dal terreno viene assorbita nelle piante e si accumula in queste, gli animali mangiano le piante e si accumula nelle loro parti grasse e l’uomo la ingerisce mangiando formaggi, carne, latte, uova, olio ecc. Lungo questo percorso la diossina può anche concentrarsi migliaia di volte. Per questo la normativa di altri Paesi (es. il Giappone) prescrive il quantitativo massimo di diossine emesse in un giorno oppure il quantitativo massimo di diossine rilasciate per Kg di rifiuti bruciati oppure il limite massimo di deposizione a terra. Se l’Italia adottasse la legislazione giapponese molti dei nostri termovalorizzatori sarebbero fuori norma.
È interessante notare che il limite di 100 picogrammi per metro cubo di fumi è stato stabilito dall’Unione Europea nel 1989 e che in quegli stessi anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità stabiliva una dose tollerabile di 10 picogrammi/Kg di peso corporeo. Poi ci sono stati vari studi che hanno dimostrato la tossicità e la cancerogenicità delle diossine anche a dosi più basse, cosicché l’OMS nel 1998 ha ridotto la dose tollerabile a 1,4 picogrammi/kg, ma l’UE ha mantenuto il limite di 100 picogrammi. Perché? Perché una riduzione dei limiti avrebbe determinato che molti degli inceneritori costruiti o in costruzione non avrebbero potuto più funzionare.
Cosa si dovrebbe fare

Per risolvere il problema dei rifiuti basterebbe applicare la legge quadro sui rifiuti (“decreto Ronchi”). Esso indica infatti che il problema dei rifiuti solidi deve essere affrontato con i seguenti principali interventi: 1) riduzione della produzione, 2) riuso, 3) riciclaggio, 4) altre forme di recupero di materia prima dai rifiuti. Tale legge dà un posto del tutto marginale all’incenerimento. Infatti viene precisato che “il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima devono essere considerati preferibili rispetto” all’incenerimento con recupero di energia.

1) Ridurre i rifiuti
Ridurre la produzione dei rifiuti è la prima cosa da fare, sia a livello personale che politico. La normativa europea e nazionale lo indica come il primo degli obiettivi da raggiungere: malgrado ciò si è fatto pochissimo (come è dimostrato dall’aumento in peso e in volume dei rifiuti).
Molte aziende (in gran parte straniere) hanno compreso che produrre meno rifiuti spesso significa risparmiare molti soldi, perché generare meno rifiuti significa sia che il processo produttivo è più efficiente, sia che i costi di smaltimento dei rifiuti si riducono.
Stato e Regioni possono legiferare vietando o tassando gli imballaggi eccessivi, i vuoti a perdere, i prodotti usa e getta, i prodotti più difficili da smaltire ecc. Si possono anche dare incentivi a quelle imprese che rivedono i loro cicli produttivi per ridurre i rifiuti o che utilizzano il sistema dei contenitori a rendere o incentivare quegli esercizi commerciali che utilizzano metodologie di vendita alla spina (per bevande, detersivi ecc.) o prodotti sfusi.

I componenti dei rifiuti urbani

residui alimentari30%
carta e cartone23%
plastica 11%
vetro6%
stracci4%
potature4%
metalli3%
legno2%
inerti1%
sottovaglio *9%
altro 7%
* polveri e materiale sbriciolato di dimensioni inferiori ai 2 cm.

2) Fare la raccolta differenziata

La raccolta differenziata è il presupposto non solo del riciclaggio, ma anche della possibilità di smaltire i rifiuti negli inceneritori o in discarica: la frazione umida (residui alimentari e della potatura), infatti, non è combustibile ed è pericoloso smaltirla in discarica per via degli odori sgradevoli, del percolato, della moltiplicazione di insetti e animali.
Quindi non si può risolvere il problema rifiuti senza fare la raccolta differenziata. Non solo, ma più è completa e selettiva la raccolta differenziata e più i rifiuti, invece di essere un problema da risolvere con costi elevati e rischi per la salute e l’ambiente, diventano una risorsa che può fare guadagnare e, quindi, ridurre fin quasi allo zero la tassa sui rifiuti.
Per la raccolta differenziata si possono utilizzare:
- contenitori familiari (ogni famiglia ha i suoi contenitori per carta, umido, plastica, indifferenziato) e i rifiuti sono raccolti con il sistema porta a porta;
- contenitori condominiali (ogni palazzo ha i suoi contenitori per carta, umido, plastica, vetro e indifferenziato);
- campane e altri contenitori in strada;
- centri di conferimento (le cosiddette “isole ecologiche”), cioè posti nei quali si possono portare rifiuti pericolosi, oli, lampadine, apparecchi elettronici, mobili ecc., che vengono così stoccati per brevi periodi e quindi riciclati o opportunamente smaltiti.
I primi due sistemi presentano il vantaggio di consentire il pagamento della “tassa dei rifiuti” in proporzione al quantitativo di rifiuto indifferenziato consegnato e in maniera inversamente proporzionale al quantitativo di monomateriale raccolto. Anche per le isole ecologiche si possono prevedere dei “benefit” per chi consegna i rifiuti.
Le città che hanno adottato il sistema porta a porta e quello condominiale, integrato con le isole ecologiche, hanno raggiunto percentuali molto elevate di raccolta differenziata con buona selettività dei materiali.

3) Riciclare i rifiuti

Ogni tonnellata di carta raccolta in maniera differenziata e riciclata consente un risparmio di 14 alberi di alto fusto, circa 350 tonnellate di acqua e 250 Kg di petrolio. Ogni tonnellata di alluminio riciclato consente un risparmio di 4 tonnellate di bauxite (minerale da cui è ricavato l’alluminio e che è sempre più raro) e 4,8 tonnellate di petrolio. Ogni tonnellata di vetro riciclato fa risparmiare 200 Kg di petrolio, 700 Kg di sabbia, 150 Kg di soda, 150 Kg di dolomite. Questi pochi dati fanno comprendere che il riciclaggio è la maniera più conveniente di utilizzare i rifiuti, sia dal punto di vista economico, che energetico ed ambientale.
Tra i rifiuti che possono essere riciclati vi sono la carta e i cartoni, la plastica (PET, PVC, PE, ma non il polistirolo), l’alluminio (lattine, bombolette spray, fogli, vaschette per contenere alimenti), il ferro, il vetro, il cuoio, gli oli minerali e vegetali (che vengono purificati per poi essere riutilizzati come lubrificanti), il legno (mobili, cassette ecc. che sono sminuzzati per fare truciolato), i pneumatici, i toner (che possono essere ricaricati innumerevoli volte). Non possono essere riciclati invece la carta accoppiata con plastica o alluminio (buste di tetrapack, sacchetti per alimenti) e alcuni tipi di plastica (polistirolo, PP), che pertanto dovrebbero essere eliminati dal commercio o fortemente tassati. Tra l’altro già oggi esistono valide alternative a questi materiali, come il “polistirolo di patate”, meno costoso di quello indistruttibile derivato dal petrolio (ed è anche un brevetto italiano).
Anche le aziende dovrebbero riciclare di più, per cui sarebbe opportuno indirizzarle in tal senso con indicazioni, normative, tasse e incentivi. La Xerox Corporation, ad esempio, ricicla il 95% delle proprie fotocopiatrici, risparmiando ogni anno circa 80 milioni di dollari.

4) Il compostaggio

Il compostaggio è il processo che trasforma i rifiuti organici (cioè la frazione umida) in concime (detto “compost”) in presenza di aria (eventualmente arricchita di ossigeno). Il compost si presenta come un terriccio ricco di sostanze organiche ed in agricoltura ha vari effetti positivi: rende il terreno meno sciolto e quindi meno soggetto alla dispersione e al dilavamento, trattiene acqua, consentendo così irrigazioni meno frequenti, arricchisce il terreno in microorganismi e in materia organica, che può essere così trasformata gradualmente nei composti azotati, fosfatici e in altre sostanze indispensabili alle piante per crescere e fruttificare.
Quanto migliore è la qualità del rifiuto organico (ossia quanto maggiore è il suo grado di purezza) tanto migliore sarà il compost. Per questo la raccolta differenziata dell’umido è essenziale per produrre un buon compost., che è molto richiesto in agricoltura, mentre quello di scarsa qualità è meno richiesto e può essere utilizzato solo nei giardini e in florovivaistica. Il compost di qualità più scadente può essere utilizzato solo per la bonifica di cave e siti inquinati.
Il compost può essere prodotto anche a casa, utilizzando dei grossi vasi o dei contenitori ad hoc, dove si mette terra alternata a sottili strati di rifiuti, mantenendo il tutto sempre umido. Il tempo occorrente in questo caso va dai 3 mesi in estate agli 8 mesi nelle altre stagioni. Il tempo occorrente per la produzione industriale del compost da rifiuti è di circa 2-4 mesi.

5) Bonificare i siti inquinati

Lo smaltimento illegale di milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi e la cattiva gestione dei rifiuti solidi urbani ha determinato l’inquinamento di numerose aree della nostra Regione. Le sostanze inquinanti presenti in queste aree possono per vie lunghe e complesse arrivare fino nelle nostre case. Infatti esse possono essere assorbite dalle piante e concentrarsi a seconda della sostanza e della pianta nei frutti, nelle foglie, nelle radici e arrivare così, concentrati anche migliaia di volte, sulle nostre mense. Oppure le piante possono essere mangiate dagli animali e le sostanze inquinanti essere concentrate nella carne o nel latte degli animali e di nuovo arrivare sulle nostre mense. Oppure ancora tali sostanze possono arrivare ai corsi d’acqua o penetrare nelle falde idriche e di nuovo giungere a noi con l’acqua che usiamo per lavarci o bere. Per tali motivi è importante che i siti inquinati che presentano tali rischi siano individuati, posti sotto controllo (per impedire che vi si coltivino prodotti alimentari) ed eventualmente bonificati.
La strategia che abbiamo illustrato è quella in linea con le direttive nazionali ed europee ed è effettivamente seguita in altri Paesi: in Austria il 64% dei rifiuti è riciclato, il 23% va in discarica e solo il 13% viene bruciato (si sta anche pensando di chiudere il famoso inceneritore di Vienna); in Germania il 71% è riciclato, il 14% va in discarica e il 16% è incenerito (fonte: European Topic Centre on Resource and Waste Management 2005). Anche alcune regioni del Nord e centro Italia si stanno incamminando su questa strada: in Veneto, per esempio, la raccolta differenziata è intorno al 50% e solo l´8% dei rifiuti è incenerito. Vi sono poi città che riciclano la grande maggioranza dei rifiuti, perfino nella nostra Regione: a Montecorvino (11.000 abitanti), per esempio, si ricicla quasi l’80% dei rifiuti.
E’ necessario però che amministratori e cittadini si impegnno entrambi per raggiungere questo obiettivo. Purtroppo i nostri amministratori non hanno mai puntato sulla riduzione della produzione dei rifiuti, sulla raccolta differenziata e sul riciclaggio con la scusa che “Al Sud i cittadini non hanno senso civico”. E spesso i cittadini hanno avvalorato questo alibi pensando: “Che senso ha fare la raccolta differenziata in una situazione allo sfascio come la nostra?”. E’ necessario invece rompere questo circolo vizioso e che ciascuno venga messo di fronte alle sue responsabilità.
Per fortuna le associazioni ambientaliste, le associazioni degli agricoltori e numerosi altri soggetti sono riusciti a porre all’attenzione dell’opinione pubblica e della magistratura la gravissima situazione della Campania. Si è creato così un vasto movimento di protesta contro questo modo di gestire il problema rifiuti chiedendo il rispetto delle indicazioni della normativa sui rifiuti (ridurre, riusare, riciclare).


Cosa può fare ognuno di noi

Diffondere queste informazioni e discuterne con amici, parenti, colleghi.

Sostenere le organizzazioni ambientaliste che si battono per una gestione dei rifiuti basata su riduzione, riuso e riciclaggio.

Fare pressione su Comune, Provincia e Regione perché incentivi la riduzione, il riuso e il riciclaggio dei rifiuti.

Fare pressione su supermercati e altri esercizi commerciali perché riducano gli imballaggi e adottino sistemi di vendita “alla spina” (almeno per detersivi, saponi, shampo ecc.).

Fare pressione sul proprio datore di lavoro perché siano riciclati i rifiuti e perché nella mensa si utilizzino bevande alla spina, come avviene in molte aziende europee e del Nord Italia.

Fare scrupolosamente la raccolta differenziata.

Non comprare o comprare il meno possibile prodotti usa e getta o confezionati in imballaggi e contenitori di difficile smaltimento (polistirolo, propilene, tetrapack in accoppiata carta/plastica, carta/alluminio,ecc.).

Preferire i contenitori con il vuoto a rendere e i prodotti sfusi.

Non bere acqua in bottiglia ma solo acqua di rubinetto, che è anche più controllata dal punto di vista sanitario e molto più economica.

Comprare e preparare solo la quantità di cibo che sarà effettivamente mangiata(così si risparmiano anche centinaia di euro ogni anno).

Utilizzare batterie ricaricabili.

Comprare prodotti di migliore qualità e che durino più a lungo (il costo finisce per essere ripagato dalla maggiore durata).
  • Non farsi prendere dalla “malattia del comprare”: prima di ogni acquisto chiedersi
  •  “Ne ho proprio bisogno? Ne posso fare a meno? Quante volte lo utilizzerò?” e ricordarsi che non sono le merci che ci rendono felici ma gli amici, il tempo libero, una passeggiata ecc.: tutte cose che non costano niente e che non producono rifiuti.

lunedì 13 gennaio 2014

Petizione Rifacimento della Braccianese Claudia strada provinciale SP493

PETIZIONE
alle Amministratori Provinciali e Regionali
 Petizione Rifacimento della Braccianese Claudia strada provinciale SP493
I cittadini firmatari della seguente petizione
segnalano
la situazione di assoluta precarietà in cui versa la Strada Provinciale SP493 via Braccianese Claudia, nel tratto che parte dalla frazione di Osteria Nuova, costeggia la frazione di Fosso Pietroso, attraversa la frazione di Vigna di Valle e giunge al Comune di Bracciano.
Il fondo stradale è pieno di numerosi dislivelli, dossi, avvallamenti e buche determinati sia dall’usura e dalle intemperie, sia soprattutto da lavori realizzati non a regola d’arte. La segnaletica orizzontale di mezzeria e continua di margine è carente, l’illuminazione nottura è praticamente inesistente – in realtà lungo tutta la Strada Provinciale, se si esclude il tratto iniziale nei pressi della frazione di La Storta e quello intorno alla frazione di Osteria Nuova. Tutte queste condizioni costituiscono insidie assai pericolose che si acuiscono in caso di pioggia. Ne consegue l’elevato rischio d’incidenti per le migliaia di mezzi di trasporto – autovetture, torpedoni del Cotral, camion, trattori, motocicli, biciclette – che percorrono quotidianamente la strada in oggetto: la conseguenza è l’elevato numero d’incidenti, taluni perfino mortali, registrati sulla Strada Provinciale.
I sottoscritti chiedono che siano eseguiti con la massima urgenza i necessari lavori di manutenzione, volti a porre in sicurezza la strada, come di seguito descritti.
La raccolta di firme, allegata a questa missiva, scaturisce dall’esigenza, generale e ormai non più prorogabile, della necessità del rifacimento del manto stradale della nostra Strada Provinciale, ormai da tempo ridotto ai minimi termini, in piena inosservanza dei requisiti minimi di sicurezza e percorribilità da parte di tutti coloro che per qualsiasi motivo percorrono le strade del nostro territorio. La guida sulla Braccianese è divenuta un esercizio virtuoso, e per chi la deve percorrere ogni giorno essa è una quotidiana avventura: non si possono staccare gli occhi dalla strada e dall’asfalto per un solo istante, senza il rischio di ritrovarsi catapultati dentro una trappola o ancor peggio addosso agli alberi, procurando incidenti talora anche mortali.
Le riparazioni dei dissesti stradali sono da tempo affidate a ditte appaltatrici che usano in larga misura l’asfalto detto “a pronta presa” o “adesivo”: esso è steso a pala, e raramente pressato con le apposite macchine a rullo. L’esperienza oramai decennale in materia dovrebbe insegnare che questo sistema di asfaltatura rapida è privo di efficacia quando impiegato su strade ad alta percorrenza: esso dà sempre l’esito iniziale di creare un dosso dove prima c’era una buca, successivamente l’asfalto si disgrega e si dissolve dopo pochi giorni, anche solo con il solo transito dei veicoli; in più, i frammenti si trasformano in zolle d’asfalto che giacciono sulla strada e diventano proiettili sotto i pneumatici dei mezzi di trasporto.
Con la pioggia il disagio diviene più rischioso: ogni pozza d’acqua può nascondere una semplice pozzanghera (che comunque sul profilo di una strada correttamente drenante non dovrebbe mai formarsi) o, in alternativa, una buca profonda anche 40 cm, con le conseguenti rovinose ripercussioni sulla meccanica delle nostre autovetture o, peggio, causa di incidenti stradali.
Le denunce relative a incidenti e danni provocati da questa situazione incresciosa sono all’ordine del giorno: esse costituiscono aggravamento sulle casse delle Amministrazioni e, di conseguenza, sulle tasche del contribuente.
I sottoscritti chiedono urgentemente i seguenti provvedimenti alle Amministrazioni ed alle Autorità competenti:
riasfaltatura completa del tratto di strada con impiego di materiali di qualità al fine di ottenere una maggiore durata dei lavori, i quali siano sottoposti a controllo di garanzia e a ispezioni a campione in corso d’opera;
selezione delle sole ditte appaltatrici in grado d’impiegare personale e macchinari idonei alle operazioni;
pagamento dei lavori commissionati solo dopo verifica (c.d. “buon fine”);
realizzazione di illuminazione pubblica, anche fotovoltaica;
ridisegnamento della segnaletica orizzontale di mezzeria e continua di margine;
rifacimento delle barriere di contenimento (c.d. “guard rail ”);
rifacimento delle cunette laterali di drenaggio delle piogge;
potatura degli alberi adiacenti al ciglio stradale, al fine di creare sufficiente larghezza delle due carreggiate contrapposte.
I firmatarî chiedono di conoscere quali siano le intenzioni degli Enti destinatarî della presentepetizione al fine ridurre la pericolosità della Strada Provinciale SP493.
Certi dell’attenzione che gli Enti presteranno alla sensibilità dei cittadini in materia di qualità di vita e requisiti minimi di civiltà, i sottoscritti porgono
LA RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI TERRITORIALI SULLA MANUTENZIONE DELLE STRADE.
La responsabilità della Pubblica Amministrazione per omessa o cattiva manutenzione delle pubbliche strade[1], discende da disposizioni normative che impongono agli enti territoriali (Comuni, Province, Regioni) obblighi di manutenzione e sicurezza delle stesse oltre che di tutte le altre aree urbane calpestabili ( piazze, marciapiedi…). La fonte primigenia di siffatti obblighi è da rinvenirsi, in primis, nel risalente art. 28 dell’Allegato F della Legge 20 marzo 1865 n. 2248 che prevede come “obbligatoria la conservazione in istato normale delle stradi provinciali e comunali sistemate”; successivamente nel r.d. del 15 novembre 1923 n. 2056 , recante “ Disposizioni per la classificazione e manutenzione delle strade pubbliche” che all’art. 5, così, dispone: “Alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade di quarta classe provvedono i rispettivi comuni a totali proprie spese” [2]. Da ultimo, la tipicità di siffatti doveri connessi alla titolarità della proprietà delle strade in capo agli enti locali, trova oggi una sua compiuta regolamentazione nel D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 ( Codice della Strada), per altro riformato dalla recente Legge n. 120 del 29 luglio 2010. Segnatamente, l’art. 14 comma 1 del Codice statuisce che : “Gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta”. Scorrendo la giurisprudenza pertinente queste norme, si può rilevare che vengono applicate in giudizio, prevalentemente, nei casi in cui un privato subisca un danno a causa omessa o cattiva manutenzione della strada pubblica e come conseguenza il Giudice condanni l’ente territoriale, che risulta proprietario della strada, nel caso di specie, al risarcimento per il nocumento subito. A tal riguardo, però, non si può affrontare la questione sulla risarcibilità dei danni subiti dal cittadino per violazione delle norme sopra citate, senza considerare a monte la natura della responsabilità da ascrivere in capo alla Pubblica Amministrazione. Invero, i primi riconoscimenti sull’ammissibilità di una colpa “pubblica”, in tal senso, sono da ricondursi agli anni novanta del secolo scorso, quando, sulla scia di un processo tendente a riconsiderare su un piano paritario i rapporti tra la Pubblica Amministrazione e il privato cittadino, si è arrivati, con la sentenza del 22 luglio 1999 n. 500 della Suprema Corte, ad affermare la risarcibilità degli interessi legittimi. Sulla base di tale nuova prospettiva, si sono delineati nuovi profili di addebito da attribuire alla P.A., e tra questi ha acquistato vigore la problematica connessa alla responsabilità degli enti territoriali per omessa o cattiva manutenzione nel settore della viabilità pubblica, principalmente legata all’annosa diatriba se ricondurre la natura della stessa alla responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. o a quella c.d. oggettiva ai sensi dell’art. 2051 c.c., con deducibili differenze sostanziali sul piano processuale. Ad ogni modo, perché si possa parlare di responsabilità per omessa o cattiva manutenzione delle strade, è necessario che sussista in capo al privato danneggiato un diritto o un interesse giuridicamente rilevante, meritevole di tutela davanti l’Autorità Giudiziaria. Deve, allora, osservarsi che non è il mero interesse del privato alla manutenzione delle strade ad essere meritevole di tutela, in quanto come rilevato dal Consiglio di Stato: “l’interesse di ogni cittadino a che gli enti territoriali provvedano alla diligente manutenzione e custodia di tutti i beni pubblici ( e, tra essi, le strade) non è tutelabile in via amministrativa, né giurisdizionale, trattandosi di un mero dovere imposto in capo alla P.A. per il vantaggio della collettività non soggettivizzata. Non si è, pertanto, in presenza di interesse legittimo differenziale perché, semmai, si è al cospetto di interesse semplice e di fatto, rientrante nell’area del giuridicamente irrilevante. Ne consegue che il privato, non avrebbe, allora, accesso ad una tutela giurisdizionale davanti al G.A. in sede di giudizio di legittimità, perché portatore di un interesse non personale, differenziato, concreto e attuale dall’impugnazione. Di contro, qualora dall’inosservanza dell’obbligo di manutenzione derivi un danno al privato amministrato, sarà possibile adire l’autorità giudiziaria competente, deducendo il rapporto bilaterale instauratosi con l’Amministrazione, la quale a causa della condotta colposamente omissiva ad essa astrattamente attribuibile, sia venuta meno ad un generico dovere di astensione dal ledere la sfera giuridica dei terzi. In tal caso, infatti, l’interesse ad agire che rileva trova scaturigine nella lesione del diritto soggettivo all’integrità patrimoniale, tutelabile davanti al Giudice Ordinario”[3]. Ne consegue che il cittadino non può esigere che la strada sia mantenuta in modo piuttosto che in un altro, e non ha quindi azione per i danni che pretende essergli derivati dal modo in cui l’Amministrazione ha mantenuto il bene demaniale medesimo. Ciò in quanto sussiste, appunto, un potere discrezionale[4] in capo alla P.A. riguardo alle modalità di custodia delle strade, a fronte del quale pur non essendo configurabile un diritto soggettivo del cittadino alla conservazione della stesse, sussiste il dovere da parte degli enti pubblici di rispettare il generale principio del neminem laedere, allo scopo di evitare che il potere muti in arbitrio.
Ai sensi della legge 675/96 ( cosiddetta “legge sulla privacy”) i sottoscritti danno il loro consenso al trattamento dei dati sotto riportati. Informativa ai sensi dell’art. 13 del Decreto Legislativo 196/2003 Il trattamento dei Suoi dati personali è finalizzato unicamente all’esame della presente petizione.
Cordiali Saluti
Cittadini di Bracciano in Movimento
Seguono n. …… firme.

Firma è una giusta Causa

sabato 11 gennaio 2014

COME SI ESCE DALL’EURO?

                


Claudio Borghi, Camera dei Deputati: "io sarò brutale!!! 

Quindi preparatevi..."

                             
Claudio Borghi, ancora nel convegno a 5 Stelle sull'Economia europea, decide di trattarci male, giusto quel tanto per svegliarci... "Signori, devo farlo, scusatemi, ma devo essere cattivo, molto cattivo. E quindi, siete pronti a farvi brutalizzare? Non vorrei farlo a voi, ma i veri colpevoli non sono presenti e quindi fido che lo facciate voi dopo. Dunque, se il problema è l'Euro, allora siamo costretti a stabilire le priorità, perchè il tempo è molto poco...."

Ascoltiamo l'intero intervento che il professore ha tenuto nel terzo appuntamento del ciclo di incontri promossi dal gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle con economisti ed esperti per discutere delle politiche europee, dell'impatto dei vincoli dell'Ue sulla nostra economia e delle prospettive della moneta unica.



"Quando in Parlamento si votò per approvare i disastrosi «fondi salvastati» e «fiscal compact» i principali quotidiani titolarono su Ruby o sul caldo (era luglio). La voce degli economisti che denunciavano le colpe europee fu zittita dalla cappa di omertà stesa dal sostegno compatto che i media riservarono a Monti. Adesso però il monte di bugie, di fallimenti e di danni è troppo alto per essere ancora nascosto dal tappeto e oggi succederà quello che solo poco tempo fa era impensabile:  le ragioni di quei pochi che in Italia hanno continuato ad informare e denunciare la vera causa della crisi verranno dette direttamente nelle stanze del Parlamento europeo a Bruxelles. Il nostro lavoro di informazione è stato continuo e difficilissimo: oltre agli spazi coraggiosamente concessi da pochi altri quotidiani e abbiamo dovuto usare intensamente canali indipendenti come i forum e i social network, ma alla fine il messaggio è passato ma non è abbastanza. La verità è semplice da spiegare. La crisi della nostra democrazia dove i governi e le politiche sono imposte dall'alto lasciandoci accapigliare per le briciole è ormai sotto gli occhi di tutti. Noi a Bruxelles spiegheremo che la disoccupazione è figlia inevitabile di una moneta troppo forte per un'economia debole e che non è in grado di reagire agli shock con tutti gli strumenti che invece i Paesi a normale sovranità monetaria possono utilizzare. Diremo che l'austerità e le tasse sono state imposte per abbattere deliberatamente il mercato interno pareggiando così la bilancia commerciale. Denunceremo che, mentre il nostro governino si contorce per trovare duecento milioni per eliminare l'ultimo pezzo di Imu, sono stati trovati, senza colpo ferire, senza dibattito e senza informazione, cinquantamila milioni da destinarsi a prestiti con cui altri Paesi hanno ripagato debiti che non avevano con noi. Racconteremo come le regole che impongono il pareggio di bilancio siano in aperta violazione dei trattati fondativi dell'Unione e proveremo a delineare prospettive e regole che sarà bene seguire quando si arriverà alla ricostruzione. Cercheremo di evidenziare alcune (tutte è impossibile) delle grandi bugie che sono state riversate costantemente sui cittadini approfittando dei sensi di colpa degli italiani per dei difetti che indubbiamente ci sono ma che non sono causa diretta dell'attuale disastro. Dimostreremo che la colpa non è del debito pubblico, che non siamo diventati improvvisamente improduttivi, ma che siamo inevitabilmente andati fuori mercato per l'impossibilità di aggiustare le differenti velocità delle economie, che l'unica strada che ci viene offerta è quella del forte taglio dei salari imposto con l'arma della disoccupazione quando invece bisognerebbe essere messi in condizione di poter fare l'opposto. Spiegheremo perché le paure dei disastri che accadranno quando si uscirà dall'euro sono fantasie prive di fondamento e che il disastro vero è quanto è già successo e sta succedendo. Il Partito unico dell'euro ha i giorni contati: i partiti tradizionali non potranno più ignorare le questioni vere. La Lega, con la nuova leadership di Matteo Salvini, si dichiarerà apertamente per l'uscita dall'euro; Grillo, spinto dalla base, ha riproposto la questione (se pur con lo strumento impraticabile del referendum), Fratelli d'Italia assume posizioni sempre più critiche e inevitabilmente altre forze, da sinistra a destra, a partire da Forza Italia, dovranno presto confrontarsi con la questione euro. Non si può essere di sinistra e sostenere uno strumento che crea disoccupazione, non si può essere liberisti e vincolarsi mani e piedi. La scelta di campo sarà fra chi vuole mantenere questo sistema e chi vorrà ritornare libero. L'informazione è la chiave. Anche a Bruxelles non si potrà più fare finta di non sapere."



COME SI ESCE DALL’EURO?


BORGHI:

Innanzitutto nessuno ve lo spiega perché non ci sono grandi precedenti, nel senso che è successo in passato che ci sono stati dei cambi di valuta, siamo passati dalla lira all’euro e il giorno dopo eravamo ancora tutti lì. Quello che spaventa è il fatto di passare da una valuta debole a una forte. Tutti pensano che sia facile, perché normalmente c’è un vecchio detto che dice che la moneta buona scaccia la moneta cattiva. Quindi ad un certo punto, se c’è un cambiamento con una moneta che viene considerata preferibile rispetto agli altri, tutti prendono quella, si liberano senza troppe remore della moneta vecchia e siamo tutti a posto, nessuno protesta. Il contrario invece crea qualche preoccupazione, tant’è vero che già si sta parlando, di questi tempi, parlando della Grecia, di timore di corsa agli sportelli. Perché, molto semplicemente, se io temo che la mia moneta d’oro diventi ope legis una pizza di fango, cercherò se è possibile di sottrarla da tutti i posti dove questa moneta possa essere convertita in maniera forzosa in una roba meno valida e meno buona. Quindi cosa succede? Succede che il greco, temendo il ritorno alla dracma, cerca di prelevare l’euro, metterselo sotto il materasso, metterlo in un conto all’estero, e così via, in modo tale che poi quando arriverà il giorno, se arriverà, che gli daranno la dracma, a questo punto sul conto corrente non ci sarà nulla, lui non ha particolari problemi, riporta poi indietro dal conto in Svizzera o dal materasso o da quello che è i suoi euro, li cambia in dracma quando serve per mangiare qualcosa e potrà comprarne molto di più, perché se prima con un euro convertito in dracma, qualsiasi tipo di tasso di conversione, poteva con il cambio ufficiale comprare due yogurt, dopo che la dracma si sarà svalutata, con lo stesso tipo di euro ne può comprare quattro. Per cui l’intento di mettersi in salvo è quello.
Chi ragiona sulla distruttività di questo processo, spesso e volentieri lo fa ragionando come se fosse una cosa imprevista e immediata, vale a dire improvvisamente ad un certo punto una società serena e tranquilla viene colta dal pericolo improvviso della conversione, di disastri finanziari, a quel punto si scatena il panico, la corsa agli sportelli e l’obbligo di chiudere le banche e così via. In realtà gran parte di questo processo è già avvenuto. Il fatto è questo, che la gente non capisce che per mettersi totalmente in salvo l’operazione è molto semplice e chi ha un po’ di cultura finanziaria lo sa e lo ha già fatto. Vale a dire, io ho dei risparmi in una banca italiana e sono investiti in titoli di Stato, questo titolo di Stato potenzialmente diventa a rischio nel momento stesso in cui cambio la valuta, perché posso dire che tutto il debito, in generale tutti i contratti effettuati sul territorio italiano ritornano in lire, oppure in Grecia ritornano in dracme e così via. Quindi io ho un titolo di Stato greco denominato in euro, io posso unilateralmente dire che questo verrà restituito in dracme, quando c’è la conversione. Se io invece, io greco, così come io argentino all’epoca, magari, quando è successa la svalutazione dell’Argentina, io mi compro un titolo di Stato tedesco, nessuno me lo tocca perché il mio debitore è la Germania. Quindi se io oggi compro un Bund tedesco o un’obbligazione americana, se proprio non voglio avere a che fare con l’euro, e domani torniamo alla lira, il mio titolo non viene minimamente cambiato, quindi sta sul mio conto corrente, sul mio deposito titoli in Italia e il mio debitore sarà lo Stato americano, lo Stato tedesco e così via, quindi non avrò alcun effetto negativo dalla conversione. Questo processo, vale a dire di vendita di titoli non troppo sicuri o quantomeno su cui improvvisamente è arrivata un’ombra, per andare a comprare dei titoli invece che sono sicuri, matematici al 100% in quanto a restituzione, è già avvenuto e si chiama spread. Lo spread non è che nasce come un fungo, lo spread nasce perché c’è qualcuno che vende una cosa e compra quell’altra, a quel punto si crea una divergenza che è appunto lo spread. Se io vendo titoli italiani per comprare titoli tedeschi, automaticamente così facendo do origine allo spread. Quindi questo flusso, diciamo così, di fuga lenta dagli sportelli, fatto per tramite del debito, c’è già stato. Quindi, per carità, io dico se domani, perché magari io conosco le segrete cose, mi dicessero “guarda, non dirlo a nessuno, tra una settimana usciamo dall’euro e torniamo alla lira”, probabilmente quelle due lire che posso avere sul conto corrente posso magari mettermele a casa aspettando per evitare di incappare nella conversione, ma sono due lire; non credo che io venderei un titolo di Stato italiano magari a 70 per comprare un titolo tedesco a 130 pensando di farci chissà che gran guadagni, pur sapendo che tra una settimana ci sarà la conversione. Perché ad un certo punto io avrò un titolo italiano, sì, in lire che si svaluterà, io dico, molto meno di quello che la gente pensa, però si svaluterà. Ma è già svalutato! Cioè in questo momento lo spread ha già fatto arrivare tutta la svalutazione su tutti i titoli di debito. Quindi il fatto che quotino prezzi molto molto bassi rispetto al prezzo dei titoli di stato – virgolette – “sicuri” come quelli tedeschi, comporta che in ogni caso le cose sono già state fatte. Forse, ecco, starei attento magari sui titoli a breve termine. I titoli a breve termine, tipicamente un BOT, il BOT vale 100 perché tanto viene rimborsato tra tre mesi o sei mesi, ecco quello sì prenderebbe la conversione. Quindi se io avessi un BOT che scade tra quattro mesi e quindi vale 100 e sapessi che tra due settimane torniamo alla lira, quello non vorrei averlo perché mi ridaranno poi un BOT in lire, allora a quel punto lo venderei a 100, se me lo dicessero prima, e mi comprerei un titolo di Stato americano oppure anche un titolo bancario olandese, insomma qualsiasi cosa fuori dall’euro. Però questa procedura, questa fuga agli sportelli tanto temuta e così via, in gran parte, per quello che riguarda il debito, che è un po’ il grosso dei quantitativi monetari che ci sono in circolazione, è già avvenuta.
MESSORA: sì, perché non è che uno si tiene 100 milioni di euro in liquidità sul conto corrente, avrà dei titoli, avrà delle obbligazioni. Quindi, continuando nel nostro percorso, che cosa succede? Decidiamo per esempio che venerdì sera si torna alla lira.


          

Continua a leggere il Testo : http://www.byoblu.com/post/2012/05/23/come-si-esce-dalleuro-per-non-trovarsi-impreparati.aspx#more-7143


    “L’Italia è al capolinea, dovrà uscire dall’Euro”

Recessione vicina alla fine e crescita da agganciare? Secondo buona parte della politica italiana sì, ma i dati continuano a dire il contrario. Il quotidiano britannico “Telegraph”, sempre più impegnato sul fronte delle tesi anti-euro, ne snocciola parecchi citando uno studio di Mediobanca, che dimostrerebbero la gravità della crisi in cui si trova tutt’ora il nostro Paese. Il rapporto di Mediobanca non lo dice esplicitamente, ma lo fa intendere: l’Italia starebbe meglio fuori dall’Eurozona.
Numeri in ribasso. Se l’Istat ha limato ancora una volta al ribasso le stime del Pil del 2013 (-1,8%), ad agosto la produzione industriale italiana è scesa del 4,4% su base annua e gli ordini del 6,8%, e la Banca d’Italia ha confermato che il credito alle imprese non finanziarie si è ridotto più che a luglio del 4,6%. Lo studio di Mediobanca riportato dal Telegraph e redatto da Antonio Guglielmi, prende atto di un debito pubblico salito al 133% del Pil, il 15% in più in soli 15 mesi. Per assenza di crescita, spiega Guglielmi. Il quale non crede nelle previsioni di un Pil a +1% nel 2014, in quanto queste percentuali negli ultimi anni sono state raggiunte dall’Italia, quando l’economia mondiale era in pieno boom, figurarsi adesso che le cose non vanno bene nemmeno altrove.
Fuori dall’euro?. Il rapporto di Mediobanca non lo dice esplicitamente, ma lascia intendere che l’Italia starebbe meglio fuori dall’Eurozona. Anche perchè la Germania ha ormai accumulato un surplus commerciale di 1.400 miliardi di dollari, il 50% del Pil tedesco, mentre l’Italia perde competitività dal 1996. Una situazione che porta paradossalmente i tedeschi a crescere (anche) a nostre spese. Secondo il rapporto l’Italia si troverebbe nella settima fase del “ciclo di Frenkel“, quella del collasso. Le ragioni risiedono in un’unione monetaria che non soddisfa nessuna delle quattro condizioni obbligatorie per la sua esistenza: perfetta mobilità del lavoro, flessibilità di prezzi e salari, trasferimenti fiscali e cicli economici allineati.
Il macigno del debito pubblico. Secondo il Prof. Giuseppe Ragusa della Luiss Guido Carli di Roma, il debito pubblico potrebbe arrivare al 150% del Pil in pochissimi anni, perché anche con una crescita dello 0,6%, il rapporto tra debito e Pil potrebbe aumentare del 5% all’anno. E la politica italiana non starebbe facendo nulla, limitandosi a sperare che la ripresa del resto dell’Eurozona possa trascinare anche la nostra economia. In più, la vita media residua del debito è scesa da 7,6 a 6,4 anni, perché il Tesoro ha dovuto spostarsi sulle scadenze brevi, visto che la BCE ha acquistato titoli con scadenza residua fino a tre anni. A fronte di questa grave crisi, l’euro si è apprezzato dell’8% da giugno contro il dollaro USA, un fatto che non può che aggravare lo stato di un’economia alle prese con un tasso di disoccupazione record da 36 anni a questa parte.

giovedì 9 gennaio 2014

La voce del M5S che abbandona Grillo

Mi fanno sorridere le decine di telefonate che sto ricevendo praticamente da tutte le testate giornalistiche italiane alla ricerca dello scoop del giorno su "la voce del M5S che abbandonerebbe Grillo".
Vorrei tranquillizzarli tutti: non rilascio interviste perché non c'è nulla di torbido da raccontare.
Nessun dissapore, nessun livore o spaccatura.
Io voglio BENE a Gianroberto Casaleggio e a Beppe Grillo e sono stato benissimo in questo anno a La Cosa.
Nessuno mi ha obbligato MAI a dire o a fare niente su cui non fossi d'accordo.
Casaleggio è una persona onesta, timida e riservata, che non ama apparire per carattere e mi dispiace che i giornali strumentalizzino questa mia scelta personale per tirarlo in ballo e - con lui - tutto il movimento cinque stelle.
Rimango uno dei primi grillini (e lo dico con orgoglio) e non voterò renzi, sappiatelo.
Siamo checchesenedica dentro ad una rivoluzione epocale del nostro paese e il movimento è il propulsore di questo cambiamento della politica italiana, lo sanno anche i giornalisti, seri e non.
Chi avrebbe mai parlato di pensioni d'oro, di terra dei fuochi, di f35, di finanziamento pubblico, di trasparenza, di Europa, di difesa della Costituzione?
Io amo dal profondo del cuore i miei amici parlamentari a Roma, perché condividiamo una grande battaglia e li ringrazio ogni minuto che passa del gravoso impegno a cui sono stati chiamati come portavoce del M5S, perché passare le proprie giornate e nottate a scovare porcate nascoste tra le pieghe degli emendamenti, dovendo poi incontrare nei corridoi di Montecitorio o di Palazzo Madama certi ceffi non è cosa per stomaci deboli.
Non sono andato via per soldi o perché ho litigato come alcuni hanno scritto: inutile che perdiate tempo per cercare di seminare zizzania o dividere il M5S, non ci riuscirete.
Io immaginavo che La Cosa potesse diventare un canale che parlasse esclusivamente di movimento h24, ma per essere sostenibile economicamente grazie ai banner pubblicitari (il M5S non prende un euro di soldi pubblici) questo semplicemente non era possibile e occorreva parlare anche di altro e rivolgersi ad un pubblico più ampio.
E allora, senza personalismi, ho lasciato il timone ad altri e proverò a reinventarmi.
La vita è fatta anche di queste cose: di ripartenze.
Tutto qui.
Per cambiare questa Italia, occorre cambiare rotta e anche modo di pensare.
E per me, la coerenza, è la linfa del M5S ad ogni livello.
Quindi racconto e faccio sempre ciò che penso senza calcoli futuri, come queste righe che ho scritto di getto.
Ora vediamo se anche questo post farà il giro delle tv e dei giornali, ma sono sicuro di no.
La verità interessa poco se non fa "notizia".
Il tempo sarà - come sempre - galantuomo.
Vinciamo noi.
Matteo Ponzano

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