Altro che rinnovamento: per le elezioni politiche del 4
marzo: le forze politiche, specie Forza Italia e il Partito Democratico, si
continuano a portare appresso le care vecchie abitudini (indagini, processi,
nomine “in famigghia” e fallimenti politici), in nome del garantismo estremo e
“della lotta di civiltà all’antipolitica”. A dispetto dei desideri dei
cittadini.
Guardando le liste dei partiti, sembra di esser
tornati indietro di vent'anni. Altro che società civile, altro che competenza,
altro che serietà! Coloro che sono stati spesso avvicinati sia dalla stampa sia
nei tribunali alla cupola della malavita organizzata appare tornata di gran
moda. Le liste dei partiti, di destra e di sinistra, sono piene di politici
ultraventennali, di impresentabili condannati e indagati, di
"paracadutati" in collegi blindati che se ci fossero le preferenze
entrerebbero in Parlamento solo come addetti alle pulizie. Questa gente
vorrebbe governare ancora le vostre vite, facendo finta di tifare per
un'ideologia. Questa politica, se ancora si può definire così, vorrebbe ancora
decidere quante tasse pagherete, quali ospedali mantenere e in che condizioni
essi cureranno voi e i vostri figli. Persone condannate o indagate per truffe o
per corruzione o per rapporti con la Mafia, che continueranno a decidere chi
andrà in carcere e chi ne potrà uscire. Decideranno tutto di noi, se glielo
consentirete. Voi, invece, potete decidere se dare loro questo potere o no.
Facciamo sapere a tutti chi stanno candidando,
mentre al contempo osano parlare di onestà, competenza, serietà in campagna
elettorale, offendendo l'intelligenza dei cittadini.
Nel Centrodestra la decisione è stata
travagliata; perciò hanno optato per un milanese, Stefano Parisi, per tentare
di governare la Regione Lazio, smarcando così “lo scarpone” Pirozzi di
Amatrice. Dietro gli Angelucci e Fazzone, (ri)emerge una generazione di
politici rimasta nell’ombra dopo i disastri dell’era Polverini in Regione
Lazio. Ricorderete sicuramente Renatona nostra, oggi ricandidata come capolista
a Viterbo: proprio l’ex governatrice, espulsa lo scorso anno dall’UGL (di cui
fu deus ex machina per anni) a causa
dell’inchiesta sulle spese folli con la carta di credito del sindacato. Di
quella stagione fecero parte anche il ciociaro Mario Abbruzzese, presidente del
Consiglio regionale travolto dallo scandalo delle spese pazze e oggi candidato
nel collegio uninominale per la Camera, dopo cinque anni passati
all’opposizione alla Pisana; e il montefiasconese Francesco Battistoni,
“sommerso” per un periodo dallo scandalo delle spese pazze, candidato al Senato
nel collegio uninominale che parte dal Collatino passando per la nostra
provincia sino ad arrivare a Viterbo, che di “Batman” Fiorito fu grande
accusatore, prima che il vaso di Pandora fosse scoperchiato con l’inchiesta
denominata Lady Asl.
L’ultima trovata della cosiddetta “quarta gamba”
è davvero sintomatica. Sono un’accozzaglia di riciclati che ricorda la colorita
ciurma della Nave dei Folli, il dipinto dell’immaginifico pittore fiammingo Hieronymus
Bosch. In quella barca c’è posto per tutti: ministri cacciati o dimissionari
dello sciagurato governo Renzi, come Lupi e Costa; uomini per tutte le stagioni
e coalizioni, come Flavio Tosi; trasformisti e saltimbanchi di ogni genere;
fedifraghi recidivi reiterati; opportunisti dell’ultima ora; scaltri
negoziatori di principi; cinici portatori di voti; spudorati traditori del
Family Day.
Ricordiamo quanto dissero i giudici di legittimità, nella sentenza di
Dell’Utri: «i fatti così come ricostruiti dalla Corte d'Appello (secondo una
ricostruzione ritenuta logica e in quanto tale non censurabile) dimostrano
inequivocabilmente che Cosa nostra - grazie all'intermediazione di Dell'Utri -
aveva concluso con Berlusconi un accordo che non era connotato e tantomeno sollecitato da proprie iniziative intimidatorie,
ma era piuttosto finalizzato alla
realizzazione di evidenti risultati di arricchimento: un patto che,
peraltro, risentiva di una certa, espressa [...] propensione dell'imprenditore
Berlusconi a 'monetizzare', per quanto possibile, il rischio a cui era esposto
e a spostare sul piano della trattativa economica preventiva, l'azione delle
fameliche consorterie criminali che invece si proponevano con annunci
intimidatori» (pag. 113).
Nel Lazio il PD blinda due imputati per i
rimborsi. Laddove Nicola Zingaretti aveva tagliato, Matteo Renzi e i dirigenti
del PD romano hanno provveduto a ripristinare – con buona pace dell’ormai fuori
moda concetto di “rottamazione”. Tornano in corsa per il Parlamento, infatti,
due ex consiglieri regionali del Lazio, Claudio Mancini e Bruno Astorre, tra i
quattordici rinviati a giudizio nell’inchiesta sui rimborsi e le spese di rappresentanza
del gruppo alla Pisana fra il 2010 e il 2012 (quella che affondò l’allora Pdl e
ha portato, negli anni, alla condanna in appello a Franco “Batman” Fiorito).
Astorre, senatore uscente, abbastanza tranquillo come numero 1 al plurinominale
Lazio 2 a Palazzo Madama (Collatino - Viterbo - Guidonia). il 28 settembre
scorso è stato rinviato a giudizio dal GUP del Tribunale di Roma con l’accusa
di abuso d’ufficio.
La
vicenda degli ex consiglieri alla sbarra non è l’unico motivo di tensione nel
Pd capitolino: in lista, in ottima posizione (plurinominale Camera, terzo
posto), c'è anche Micaela Campana, ex moglie di Daniele Ozzimo – l’ex assessore
di Ignazio Marino condannato a due anni e due mesi nell’inchiesta sul Mondo di Mezzo – e finita (non
indagata) nelle carte di “Mafia capitale” per l’sms a Salvatore Buzzi in cui scriveva: “Bacio grande capo”. E anche per la sua
testimonianza in aula arricchita da ben trentanove “non ricordo”,
che le sono costati la trasmissione degli atti da parte del
giudice alla procura per l’ipotesi di falsa testimonianza.
Nessuna (ri)conferma, invece, per il suo capo corrente, Umberto Marroni,
penalizzato come tutta la corrente legata a
Michele Emiliano.
Il leader politico conosce il territorio ed è capace di distinguere realtà
pulite e bacini di voti inquinati.
In questo senso ne sa anche più del
magistrato: conoscenze e informazioni che circolano nella vita interna di
partiti e movimenti sono più ampie e pregnanti di quelle a cui può arrivare chi
indaga. Rifugiarsi nell’idea che semmai, dopo, ci penseranno i giudici significa
tornare indietro di decenni, quando questo ritornello serviva a coprire un
rapporto collusivo tra mafia e politica i cui esiti disastrosi sono noti.
Questa mentalità non solo lega tra loro
gl'impresentabili, cioè i condannati e gl'indagati, alla cupola della malavita organizzata; ma allontana
anche il cittadino dalla vita politica, che ormai dai suoi rappresentanti è
nauseato.
Ecco il modo "giusto" che hanno i partiti per legittimarsi: si
rendono autonomi dagli esiti giudiziari e tutelano sé stessi e i propri
candidati. Costoro non hanno il coraggio né la volontà di rinunciare ai voti
inquinati: non per niente, nessuno parla di lotta alla corruzione nel proprio
programma, anche la legge sul conflitto d'interessi è misteriosamente
scomparsa, perfino nei tanto venerati talk-show. Ecco perché il 4 marzo 2018
dobbiamo rispondere con un sonoro NO!
P.S.: a proposito, una domanda raminga cerca ancora vanamente una risposta: a
sinistra esiste solo l'asso piglia tutto, e pace; ma il candidato premier del
centrodestra, chi è?
Ricordiamo quanto dissero i giudici di legittimità, nella sentenza di Dell’Utri: «i fatti così come ricostruiti dalla Corte d'Appello (secondo una ricostruzione ritenuta logica e in quanto tale non censurabile) dimostrano inequivocabilmente che Cosa nostra - grazie all'intermediazione di Dell'Utri - aveva concluso con Berlusconi un accordo che non era connotato e tantomeno sollecitato da proprie iniziative intimidatorie, ma era piuttosto finalizzato alla realizzazione di evidenti risultati di arricchimento: un patto che, peraltro, risentiva di una certa, espressa [...] propensione dell'imprenditore Berlusconi a 'monetizzare', per quanto possibile, il rischio a cui era esposto e a spostare sul piano della trattativa economica preventiva, l'azione delle fameliche consorterie criminali che invece si proponevano con annunci intimidatori» (pag. 113).
Il leader politico conosce il territorio ed è capace di distinguere realtà pulite e bacini di voti inquinati. In questo senso ne sa anche più del magistrato: conoscenze e informazioni che circolano nella vita interna di partiti e movimenti sono più ampie e pregnanti di quelle a cui può arrivare chi indaga. Rifugiarsi nell’idea che semmai, dopo, ci penseranno i giudici significa tornare indietro di decenni, quando questo ritornello serviva a coprire un rapporto collusivo tra mafia e politica i cui esiti disastrosi sono noti.
Ecco il modo "giusto" che hanno i partiti per legittimarsi: si rendono autonomi dagli esiti giudiziari e tutelano sé stessi e i propri candidati. Costoro non hanno il coraggio né la volontà di rinunciare ai voti inquinati: non per niente, nessuno parla di lotta alla corruzione nel proprio programma, anche la legge sul conflitto d'interessi è misteriosamente scomparsa, perfino nei tanto venerati talk-show. Ecco perché il 4 marzo 2018 dobbiamo rispondere con un sonoro NO!
P.S.: a proposito, una domanda raminga cerca ancora vanamente una risposta: a sinistra esiste solo l'asso piglia tutto, e pace; ma il candidato premier del centrodestra, chi è?