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sabato 7 settembre 2013

Lettera aperta di una cittadina in parlamento ai cittadini

Lettera aperta di una cittadina in parlamento ai cittadini

Erano mesi che aspettavo di avere la serenità e il tempo per raccontare a me stessa e agli altri la folle avventura che sto vivendo da qualche tempo a questa parte. Solo ora, nel bel mezzo della pausa estiva, mi trovo a ripercorrere nella mente tutti momenti vissuti in questi ultimi otto mesi che sono sembrati al contempo un’eternità e un istante. E mi viene da pensare che mai potrò ricordare e trascrivere tutti gli episodi e tutte le sensazioni che sono stati parte integrante di questo difficile, entusiasmante percorso.
Nessuno di noi è veramente conscio di ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo. Forse lo saremo solo tra diversi anni quando ci troveremo a raccontarlo ai nostri figli e nipoti.Erano mesi che aspettavo di avere la serenità e il tempo per raccontare a me stessa e agli altri la folle avventura che sto vivendo da qualche tempo a questa parte. Solo ora, nel bel mezzo della pausa estiva, mi trovo a ripercorrere nella mente tutti momenti vissuti in questi ultimi otto mesi che sono sembrati al contempo un’eternità e un istante. E mi viene da pensare che mai potrò ricordare e trascrivere tutti gli episodi e tutte le sensazioni che sono stati parte integrante di questo difficile, entusiasmante percorso.
I cittadini sono rientrati nelle istituzioni. Detta così, questa sembrerebbe una frase come un’altra, invece porta dentro un significato, una storia e dei volti la cui straordinarietà difficilmente potrebbe essere catalogata anche nei più dotti manuali di politologia.
Quando ci dicono che stiamo scrivendo la storia sorridiamo, ci scherziamo su e passiamo oltre. Non ci sembra vero, ciascuno di noi continua a sentirsi se stesso e mai si percepirebbe come il grande statista giunto in Parlamento dal nulla per risollevare le sorti della patria. Nessuno di noi immagina il proprio nome scritto in un libro di storia o il proprio ritratto affisso nella Galleria dei Presidenti alla Camera dei Deputati. Sappiamo bene come e perché ci troviamo laggiù e lavoriamo sodo per colmare le lacune della nostra inesperienza.
Ce ne hanno dette di tutti colori, abbiamo sopportato insulti e prese in giro, diffidenza e spocchia, attacchi di media e assedi di giornalisti affamati di carne umana e continuiamo a farlo anche se da qualche tempo i giornalisti hanno smesso di vedere in noi una sorta di bestie esotiche da studiare e su cui costruire il servizio più riuscito della propria carriera. Ora parliamo con loro e loro non trovano più così divertente cercare di cogliere il nostro disagio o farci domande trabocchetto per spillarci di bocca la parola di troppo su cui costruire lo scoop. Ogni giorno che passa impariamo qualcosa di nuovo e iniziamo a misurarci con il vero nemico, dentro il Palazzo.
Ti accorgi che il Cittadino che è in te è ancora vivo e indignato ogni volta che, alla vista di certe facce a pochi metri da te, provi dentro un disprezzo profondo. Loro non sanno chi sei, quale storia tu abbia alle spalle, che mestiere facessi prima, né gli interesserebbe saperlo: per loro sei una fortunata nullità e tornerai ad esserlo. Tu invece conosci perfettamente tutto il loro percorso politico e le loro vicende, giudiziarie o meno, e sai per filo e per segno quanto impegno hanno adoperato per distruggere l’Italia negli ultimi vent’anni. Li guardi da vicino come se fossi tu a dover esaminare loro per capire chi siano, provi lo stesso odio di quando vedevi i loro faccioni spavaldi in tv ma ora sei un loro collega e non puoi, non puoi urlare tutta la tua indignazione. Contegno e rispetto verso chi non meriterebbe né l’uno né l’altro. Il rispetto che credono di meritare non è quello che portano a noi e già diverse volte si sono verificati casi incresciosi di maleducazione ai limiti estremi della mancanza di civiltà e dell’arroganza più bieca.
Si sentono forti, fortissimi, comandano e decidono accordandosi nel modo a loro più conveniente all’interno di quel mostro vittima di se stesso che porta il nome di “governo delle larghe intese”. Se solo i cittadini sapessero quanto è inutile la presenza del Parlamento oggi. Se solo potessero entrarci dentro per un po’ e vedere gli scempi, gli sprechi, i paradossi e le storture di questo lento, ingolfato meccanismo. L’indignazione, già a livelli record, sfocerebbe in rivolta.
Noi, 160 cittadini approdati all’improvviso nelle istituzioni, con la vivida immagine del mondo di fuori impressa nella testa e nel cuore, lottiamo nelle commissioni, emendiamo i decreti fino allo sfinimento, proponiamo ordini del giorno, facciamo ostruzionismo, pronunciamo discorsi al vetriolo e tentiamo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per limitare i danni, frenare il dissesto, interpretare l’indignazione civile. Se solo l’informazione fosse libera e le tv riportassero un millesimo del lavoro che svolgiamo ogni giorno in Parlamento, nessuno più oserebbe dire che il M5S non combina nulla.
Non “combiniamo nulla” perché per una manciata di voti non abbiamo preso il premio di maggioranza attualmente usurpato dal Pd in quanto ottenuto in virtù dell’alleanza con Sel oggi non più esistente. Siamo stati il partito più votato alla Camera ma nessuno lì dentro tiene conto del fatto che 9 milioni di italiani su 60 hanno scelto il M5S. Ogni nostra idea, ogni nostro atto, seppur condivisibile o addirittura parte integrante del programma elettorale altrui, viene bocciato per partito preso, per impedire che il M5S riporti una vittoria, per tenere sotto silenzio tutto il lavoro e lo studio a cui costantemente ci dedichiamo, a stretto contatto con attivisti, esperti, cittadini e associazioni.
Stanno tirando la corda sempre di più, si stanno sforzando in tutti modi di ancorarsi alle poltrone per tentare, almeno in extremis, di smentire la loro proverbiale inettitudine. Quante volte, in questi mesi, mi sono ritrovata a pensare “aveva proprio ragione Grillo, lui aveva capito tutto prima di chiunque altro”. Quante volte, sentendo certi discorsi, osservando lo sfarzo impudico in cui vivono ogni giorno da decenni, toccando con mano l’imperizia e l’ipocrisia con cui lavorano e fanno propaganda in tv, mi sono sentita addosso la stessa disillusione amara che provavo quando uscivo da uno spettacolo di Beppe, perfettamente consapevole del fatto che la sua satira era modellata su una realtà che lui descriveva a fini umoristici come paradossale ma che, purtroppo, non aveva nulla di fantasioso.
Ed è proprio questo il punto, il vero motivo per cui sto scrivendo questa lettera aperta. Mi sono messa nei panni di tutti coloro che vorrebbero sapere da noi cosa succede davvero là dentro, cosa si prova a confrontarsi ogni giorno con quella realtà rarefatta e lontana che si conosce solo grazie alla tv e ai giornali. Ebbene, mi sono chiesta come potrai spiegare in poche parole cosa significhi ritrovarsi da un giorno all’altro in Parlamento all’età di 27 anni, a stretto contatto con i politici “veri”, quelli che da decenni affollano talkshow e titoli di quotidiani. Sapete cosa vi dico? Non fa nessun effetto particolare.
Anzi, la prosaicità di ciò che vedo e vivo ogni giorno, il continuo svilimento a cui è stato soggetto un mestiere tanto nobile e importante, gli atteggiamenti boriosi e arroganti, gli episodi sconvolgenti accaduti in questi mesi, a partire dalla rielezione di Napolitano, hanno avuto su di me un effetto dissacrante e mi hanno reso incapace di figurarmi questo mestiere con l’aura di prestigio e sublimità che meriterebbe o meritò in altri tempi.
Io oggi sono consapevole della verità: senza voler generalizzare troppo, un parlamentare è poco più che una persona che ha giocato bene le sue carte, che ha avuto le conoscenze giuste, la fortuna e i soldi necessari per candidarsi in cima ad una lista, investendo tutto ed essendo consapevole che entrare in Parlamento è come vincere alla lotteria, né più né meno. Già, perché, se il potere logora, pecunia non olet, mai. Quale mestiere offre più denaro, più privilegi? Ma di questo abbiamo già abbondantemente parlato e rischiamo di risultare monocordi.
No, c’è di più! C’è qualcosa di molto più grave, qualcosa che, personalmente, mi ha colpito di più dei € 17.000 arrivati sul mio conto dopo il primo mese mezzo di attività. Non è richiesto nessun curriculum, nessun titolo, nessuna capacità particolare. Dirò di più: nella stessa misura in cui, nella vita normale, si richiedono titoli su titoli, abilitazioni, esperienza, referenze per fare qualsiasi lavoro, ugualmente in questo fantastico mondo del Parlamento nessuno è interessato a sapere di cosa ti occupi, se hai studiato o lavorato in un settore che sia perlomeno affine a quello della commissione in cui andrai a lavorare. E così capita che io, insegnante laureata e dottoranda in lettere classiche, finisca nella commissione finanze senza che questo faccia alcun tipo di scalpore. A me che mi preoccupo della mia inadeguatezza e del contributo che non posso apportare in quella Commissione, la dipendente della Camera risponde “non si preoccupi, non serve avere competenze, l’aiutiamo noi, ci sono fior fior di tecnici per questo, voi siete i parlamentari”. Io, ingenuamente, credevo che un parlamentare dovesse quantomeno conoscere l’abc della propria commissione… Invece il suo ruolo può allontanarsi molto dall’essere foriero di idee innovative o frutto di studio personale. Il suo è un banale ruolo di rappresentanza. Senza contare che, tra le miriadi di collaboratori e tecnici di cui è attorniato, difficilmente egli usa il suo ingegno anche solo per scrivere i discorsi che pronuncia in aula con l’enfasi di un novello Cicerone davanti al suo Catilina redivivo. Sarebbe auspicabile un minimo di equità e di decenza anche solo per riequilibrare l’ingiusta differenza di trattamento con il mondo reale in cui ormai sono richieste qualifiche anche per svolgere il mestiere più instabile e peggio retribuito di tutti. Così trascorre la giornata di un parlamentare italiano, tra un cornetto, un bombolone e una spremuta pagate con la stessa tesserina con cui si è abilitati a votare in aula, una tesserina magica che ti dà la sensazione di poterti concedere tutto senza spendere un euro. Tutti presenti alle votazioni martedì mercoledì e giovedì, ma non perché il lavoro è sacro, bensì perché l’assenza al momento del voto comporta una detrazione consistente dello stipendio a fine mese. Nelle commissioni e nei giorni non destinati alle votazioni le presenze si riducono sensibilmente. E guai a farlo notare in aula, si inferociscono.
Che dire poi del modo di procedere nei lavori diventato ormai prassi? Continui decreti da convertire in legge in maniera sbrigativa, prima della loro scadenza. Decreti omnibus, con migliaia di provvedimenti diversi al loro interno, che non hanno le benché minime motivazioni di “necessità e urgenza” ma che vengono infarciti a non finire con le materie più diverse.
L’ultimo decreto esaminato prima della pausa estiva era sul lavoro ma gli articoli finali “altre disposizioni in materia finanziaria” erano inerenti al posticipo dell’aumento dell’Iva. Spesso e volentieri questi decreti giungono blindati, cioè devono essere approvati così come sono, non sono passibili di modifiche né, se le disposizioni del Governo sono tali, i Largamente Intesi consentono che si venga meno a tali disposizioni, impedendo di fatto al Parlamento di svolgere il ruolo che la Costituzione gli assegna. Quando non viene posta la fiducia, i decreti vengono ratificati, con la bocciatura costante del 99% degli emendamenti presentati dall’opposizione. Spesso è la stessa inconsistenza di tali decreti a renderli misure risibili, totalmente inutili come ad esempio avvenuto nel Dl lavoro, in cui venivano stanziati pochissimi fondi per incentivare le assunzioni di giovani con requisiti praticamente impossibili da avere ai giorni nostri (tra i quali, ad esempio, il possesso del solo diploma di scuola media).
Per concludere questo flusso di pensieri, voglio raccontare una scena raccapricciante vissuta nel giorno della rielezione di Napolitano. La gente si era riunita fuori dal Palazzo, aveva accerchiato completamente Montecitorio. A stento la folla furiosa veniva trattenuta dietro le transenne e si respirava davvero un’aria da guerra civile. Era spaventoso. Dentro il Palazzo, nessuno sembrava preoccuparsene, le ennesime votazioni procedevano lentamente e senza intoppi. Ormai l’accordo era stato raggiunto. Che cosa comportava questo accordo? La risposta alla domanda è stata tristemente rivelata nel momento immediatamente successivo alla proclamazione del nome di Napolitano dalla Presidente Boldrini. A seguito di un lungo applauso e di strette di mano, di sorrisi compiaciuti e di manifestazioni di sollievo e soddisfazione, l’allora Popolo delle Libertà si è profuso in un commovente e disgustoso teatrino: intonazione di parte dell’inno di Mameli con mano sul cuore e coro da stadio per Berlusconi: “Sil-vio”, “Sil-vio”, “Sil-vio”. Il tutto all’interno della Camera dei Deputati e in un momento solenne come quello dell’elezione del Presidente della Repubblica. In quel momento, con i brividi sulla schiena e un gusto amaro in bocca, ho iniziato ad unire i tasselli. La rielezione di Napolitano era una vittoria di B., era merito suo.
E oggi a cinque mesi di distanza da quel giorno, da lui dipende la tenuta del Governo e i giornali e le tv non parlano d’altro. Le Larghe Intese sono state una sua vittoria, così come tutto ciò che ne è seguito. Non esiste provvedimento né articolo di legge su cui lui e il suo “popolo” non possano porre veti. Così il Parlamento è blindato, il Paese sotto scacco di un solo uomo, legato a doppio filo alle sue vicende giudiziarie. Come se non fossimo l’unico paese d’Europa in cui ancora non è terminata la recessione, come se non ci fosse il timore di una terza guerra mondiale alle porte a seguito delle vicende siriane.
Il MoVimento 5 Stelle c’è ed è vivo e vegeto, non solo in Parlamento ma anche e soprattutto nelle piazze, sotto i gazebo, ai banchetti, sulla rete. Gli attivisti sono la forza del MoVimento e per noi che stiamo tutto il giorno nel Palazzo c’è un unico conforto: sapere che fuori c’è un esercito sterminato pronto a difenderci. Nessun partito ha così tanti attivisti, nessuno così informati e agguerriti. Sono i cittadini ritornati consapevoli, i cittadini a cui nessuno potrà più sottrarre la libertà di informarsi e opporsi.
Siamo alla resa dei conti, restiamo saldi e compatti. Abbiamo il dovere di riprenderci il Paese e insieme possiamo farcela.
A RIVEDER LE STELLE!!!
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Fonte: http://www.silviachimienti.it/2013/09/lettera-aperta-di-una-cittadina-in-parlamento-ai-cittadini/

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